58. [1] Si tramanda anche una storia secondo cui questa dea [: la Grande Madre] sarebbe nata in Frigia. I nativi di quella regione raccontano che in passato divenne re di Frigia e Lidia Mèone: sposata Dìndime, ebbe una figlia femmina, ma non volendola allevare, la espose sul monte chiamato Cìbelo. Lì, per una qualche provvidenza divina, le pantere e qualche altro animale tra quelli particolarmente feroci porsero alla bambina il capezzolo e la nutrirono; [2] alcune donne, che si trovavano in quel luogo a pascolare le greggi, assistettero alla scena e, meravigliatesi per l’inaspettato evento, presero la bambina e la chiamarono Cìbele dal nome di quel monte. Divenuta una ragazza, spiccava sia per bellezza sia per moderazione, e inoltre suscitava ammirazione per la sua intelligenza: per prima, infatti, escogitò la siringa a più canne e inventò cembali e timpani per i giochi e le danze, oltre a ciò introdusse riti di purificazione per curare le malattie sia degli animali sia dei bambini piccoli; [3] perciò, poiché i bambini erano salvati dai suoi incantesimi e i più di loro erano da lei tenuti in braccio, per la sua attenzione e il suo affetto verso costoro fu chiamata da tutti «madre montana». Dicono che vivesse con lei e nutrisse per lei un affetto particolare il frigio Màrsia, ammirato per la sua intelligenza e la sua moderazione: una prova della sua intelligenza la trovano nel fatto che imitava i suoni della siringa a più canne e trasferiva l’intera armonia sui flauti; un segno della sua moderazione, invece, era, dicono, il fatto che fino alla fine non sperimentò mai i doni di Afrodite. [4] Giunta al fiore dell’età, dunque, Cìbele si innamorò di un giovinetto del luogo, chiamato Attis, in seguito soprannominato Papas: dopo essersi congiunta in un amplesso con lui di nascosto ed essere rimasta incinta, proprio in questo periodo fu riconosciuta dai genitori.
59. [1] Perciò fu portata alla reggia e il padre all’inizio la accolse credendola vergine; ma in seguito venne a sapere della sua deflorazione e uccise sia le sue nutrici sia Attis, lasciando i loro cadaveri insepolti. A questo punto, dicono, Cìbele, per il suo affetto verso il ragazzo e il dolore per le nutrici, divenne pazza e scappò via dalla reggia dirigendosi in campagna. E lanciando alte urla e suonando il timpano percorse tutta la regione da sola con i capelli sciolti, e Màrsia, provando pietà per il suo dolore, la seguì volontariamente nei suoi vagabondaggi in nome dell’affetto di un tempo. [2] Giunti da Dionìso sulla Nisa, trovarono Apollo che in quel momento godeva di grande approvazione a causa della cetra, che, dicono, aveva inventato Ermes, ma Apollo per primo utilizzava a modo: Màrsia si schierò contro Apollo in una sfida di abilità e come giudici furono designati i Nisei. Apollo, esibendosi per primo, suonò la cetra senza accompagnamento della voce, Màrsia invece, esibendosi per secondo con i suoi flauti, colpì gli ascoltatori con il carattere straniero della sua musica, e per la sua melodia sembrò superare di molto il primo contendente. [3] Poiché i due si erano accordati per mostrare la loro abilità ai giudici a turni alterni, Apollo, dicono, al suo secondo turno aggiunse un canto armonizzato al suono della cetra, grazie al quale superò la precedente approvazione riservata ai flauti. L’altro, arrabbiatosi, spiegò agli ascoltatori che egli risultava inferiore contro ogni principio di giustizia: bisognava, infatti, che si confrontasse l’abilità, non la voce, perché solo in quel confronto era possibile esaminare l’armonia e il suono della cetra e dei flauti; e oltre a ciò era ingiusto mettere a confronto da un lato due abilità e dall’altro una sola. Apollo, raccontano, disse che in nessun modo egli godeva di un vantaggio in più rispetto a lui: [4] anche Màrsia, infatti, faceva una cosa abbastanza simile alla sua quando soffiava nei flauti. Bisognava, dunque, o che a entrambi in egual misura fosse data questa possibilità di combinare le due abilità, o che nessuno dei due contendesse con la bocca, ma mostrasse la propria abilità con le sole mani. [5] Poiché gli ascoltatori decisero che Apollo aveva ragione, furono confrontate di nuovo le loro abilità: Màrsia fu sconfitto e Apollo, esacerbato dalla contesa, scorticò vivo il perdente. Essendosene pentito subito dopo e mal sopportando ciò che aveva fatto, strappò via le corde dalla cetra e distrusse l’armonia che aveva inventato. [6] Questa, in seguito, fu riscoperta, poiché le Muse inventarono la corda di mezzo, Lino quella pizzicata con l’indice, Òrfeo e Tàmira la più alta e quella accanto a essa. Apollo, dicono, dedicò sia la cetra sia i flauti nella caverna di Dionìso e, innamoratosi di Cìbele, la accompagnò nei suoi vagabondaggi fino agli Iperbòrei. [7] Poiché poi in Frigia una pestilenza si era abbattuta sugli esseri umani e la terra era divenuta infruttifera, quando gli abitanti, nel pieno della sventura, interrogarono il dio chiedendogli come potevano allontanare i loro mali, fu loro comandato, dicono, di seppellire il cadavere di Attis e di onorare Cìbele come dea. Perciò i Frigi, poiché il cadavere era stato distrutto col passare del tempo, realizzarono un’immagine del ragazzo, davanti alla quale, compiangendolo con onori adatti al suo dolore, placarono l’ira della vittima innocente: cosa che hanno continuato a fare fino ai nostri giorni. [8] Quanto a Cìbele, anticamente, innalzati altari in suo onore, le offrivano sacrifici annuali; in seguito, a Pessinunte in Frigia costruirono un tempio molto costoso e introdussero onori e sacrifici magnificentissimi, anche con il contributo di un estimatore del bello come il re Mida: alla statua della dea accostarono pantere e leoni per la credenza secondo cui in un primo tempo fu nutrita da questi animali.