Il viandante sfortunato – Apuleio, Metamorfosi VII 25-26

[23-24]

[25] 1. In quel momento un viandante, vedendomi solitario e vagabondo dietro di lui, piomba su di me e, montatomi addosso di fretta, picchiandomi con il bastone che aveva con sé, si mise a condurmi per una via traversa e ignota. 2. Non che io mi prestassi alla corsa malvolentieri, visto che mi lasciavo alle spalle l’atrocissima prospettiva della macellazione della mia virilità. Del resto le botte non mi turbavano granché, avvezzo com’ero, secondo la procedura, a essere ammazzato di randellate. 

3. Ma quella dannata Fortuna, ostinata nel procurarmi sventure, con sciagurata velocità giocò d’anticipo su una tanto tempestiva scappatoia e approntò un nuovo agguato. 4. I miei pastori, infatti, stavano percorrendo in lungo e in largo quelle zone alla ricerca di una vaccherella che avevano perduto, quando si imbattono accidentalmente in noi: subito mi riconoscono e, presomi per il capestro, smaniano di tirarmi a sé. 5. Ma quello, resistendo con vigorosa temerarietà, chiamava a testimoni gli uomini e gli dèi: «Perché mi trascinate a forza? Perché mi aggredite?». 

6. «Ah sì? Noi trattiamo ingiustamente te, che ti sei rubato il nostro asino e te lo porti via con te? Perché piuttosto non confessi dove si trova il ragazzino suo palafreniere? Di certo l’hai ammazzato e l’hai nascosto da qualche parte!»; 7. e subito lo tirano giù a terra e si mettono a pestarlo con pugni e colpirlo con calci. Quando quello può finalmente parlare, giura che lui almeno non aveva visto alcun conducente, ma che l’aveva incontrato completamente sciolto e solitario e se ne era impadronito per la ricompensa della denuncia, intenzionato tuttavia a restituirlo al suo proprio padrone. 8. «Se solo l’asino stesso», disse, «– magari non l’avessi mai visto! – fosse in grado di emettere voce umana e potesse rendere testimonianza della mia innocenza: di certo vi vergognereste di questa ingiustizia». 

9. Pur con queste assicurazioni non riusciva a ottenere niente di niente. Infatti, legatolo per il collo, i pastori, decisi a tormentarlo, lo trascinano indietro verso le selve boscose di quel monte da dove il ragazzino era solito portar giù la legna. [26] 1. Eppure quello non si trova da nessuna parte nei campi circostanti; scorgono, invece, distintamente il suo corpo lacerato membro a membro e sparso qua e là in diversi luoghi. 2. La qual cosa, io lo pensavo senza alcun dubbio, era stata compiuta dai denti di quell’orsa e, per Ercole!, avrei detto ciò che sapevo, se avessi avuto sufficiente facoltà di parola. Invece – solo questo potevo fare –, zitto zitto mi rallegravo della pur tarda vendetta. 3. E per quanto riguarda il cadavere, dopo che, fra l’uno e l’altro dei pezzi dispersi, alla fine l’avevano ritrovato tutto e a fatica l’avevano ricomposto, lo affidarono alla terra lì stesso; il mio Bellerofonte, invece, accusato di essere un indubbio ladro di bestiame e un assassino sanguinario, per il momento lo legano e lo portano alle loro capanne, in attesa che, all’alba del giorno seguente, trascinato davanti ai magistrati, come dicevano, fosse consegnato alla sua pena. 

4. Nel frattempo, mentre i genitori del ragazzino lamentavano la morte del figlio piangendo e percuotendosi il petto, ecco arrivare il contadino che, non avendo in alcun modo eluso la sua promessa, reclama la mia castrazione, come da accordo. 5. «Non è dalla stessa cosa», dice uno di quelli, «che proviene la nostra perdita di oggi, ma in ogni caso domani sarà un vero piacere staccare a questo maledettissimo asino non solo gli attributi, ma anche la testa stessa. E non ti mancherà l’aiuto di nessuno di questi qui».

[27-28]

Continua a leggere

Di condanna in condanna – Apuleio, Metamorfosi VII 23-24

[21-22]

[23] 1. Ma uno di quella compagnia di contadini disse: «È un sacrilegio ammazzare in questo modo un asino in così buona salute e trovarsi privi del suo lavoro e del suo servizio tanto necessario solo per un’accusa di lussuria e licenziosità amorosa, 2. quando, d’altronde, una volta che uno gli ha tagliato via i genitali, non potrebbe in nessun modo drizzarsi alla monta, liberandovi così dalla paura di ogni rischio, senza contare per altro che diventerebbe di gran lunga più grosso e più corpulento. 3. Io ne conosco molti, non solo di asini pigri, ma anche di cavalli ferocissimi che, affaticati da un eccesso di libidine e per questo aggressivi e furiosi, una volta operata una simile detesticolizzazione, sono diventati mansueti e miti, non inabili al trasporto di pesi e capaci di piegarsi a tutte le altre mansioni. 4. Quindi (a meno che vi stiate facendo convincere contro voglia) se aspettate il piccolo spazio di tempo in cui avevo deciso di andare al mercato più vicino, posso andare a prendere a casa gli strumenti predisposti a questo rimedio, tornare immediatamente da voi, mettere questo amante aggressivo e ributtante a cosce aperte ed evirarlo: a quel punto l’avrò reso più mite di un qualsiasi montone».

[24] 1. Una simile sentenza mi aveva strappato dalle grinfie dell’Inferno quando ormai c’ero praticamente in mezzo, ma mi aveva riservato alla punizione più atroce, per cui già mi affliggevo e compiangevo l’imminente estinzione di tutto me stesso in quell’estrema parte del mio corpo. 2. Mi chiedevo, dunque, se togliermi la vita io stesso con un digiuno continuo o con una caduta precipitosa, intenzionato nondimeno a morire, sì, ma a morire intero. 3. E mentre esito in questa scelta del modo in cui uccidermi, la mattina seguente quel ragazzino mio assassino mi porta di nuovo sul consueto sentiero di montagna. 4. E dopo avermi assicurato al ramo penzolante di un leccio grandissimo, fattosi un pochino più avanti lungo la via, già da un po’ stava tagliando con la scure della legna da portare giù, quand’ecco da una grotta vicinissima, sollevando la grande testa, striscia fuori in tutta la sua mostruosità un’orsa. 5. Appena la vedo, spaventato e atterrito da quell’improvvisa apparizione, spingo indietro sui garretti posteriori tutto il peso del corpo e, sollevato in alto il collo eretto, rompo la cinghia dalla quale ero trattenuto e subito mi do a una rapida fuga: e dopo essere rotolato a capofitto lungo i pendii 6. non con i soli piedi ma anche con tutto il corpo slanciato in avanti, mi immetto nella campagna che si apriva là sotto, fuggendo con il massimo zelo quell’orsa gigantesca e, peggio ancora dell’orsa, quel ragazzino.

[25-26]

Continua a leggere

Lucio è condannato a morte – Apuleio, Metamorfosi VII 21-22

[19-20]

[21] 1. «Lo vedete questo, pigro, lentissimo e fin troppo asino? Povero me, oltre a tutte le altre sue malefatte, anche ora mi affligge mettendomi nuovamente in pericolo. 2. Appena, infatti, ha scorto un passante qualsiasi, che si tratti di quella bella donna o di quella fanciulla nubile o di quel tenero ragazzino, all’istante butta via il carico (non di rado getta giù anche lo stesso basto), e come un maniaco gli corre addosso: concupisce esseri umani, un simile amatore! Prostratili a terra e spasimandogli addosso, intraprende illecite e inaudite dissolutezze e montando in voluttà bestiali, quando Venere ha ormai distolto lo sguardo, invita a nozze le sue vittime. 3. Addirittura, infatti, imitando la forma di un bacio, le colpisce e le mordicchia dovunque con quel muso sfacciato. La qual cosa ci attirerà contro non piccole liti e litigi, anzi forse anche delle accuse. 4. Anche ora ha visto una certa giovane graziosa e, gettata giù tutt’intorno la legna che trasportava, ha diretto contro di lei i suoi furiosi assalti: prostrata la donna sulla lurida terra, questo galante cicisbeo tentava di montarla lì stesso davanti a tutti. 5. Che se non fosse accorso un presidio di passanti invocato in aiuto dai pianti e dai lamenti della fanciulla, e questa non fosse stata strappata e liberata dalla stretta dei suoi zoccoli, a quest’ora lei, quella poverina, calpestata e fatta a pezzi, avrebbe dovuto sopportare una terribile tortura, ma a noi avrebbe garantito la pena capitale».

[22] 1. Mischiando a simili menzogne altre chiacchiere che appesantirono ancora più poderosamente il mio pudico silenzio, aizzò crudelmente gli animi dei pastori alla mia rovina. 2. Disse quindi uno di quelli: «Perché allora non prendiamo questo marito pubblico, anzi questo adultero comune a tutti quanti, e non lo sacrifichiamo come vittima in tutto degna di quelle sue nozze mostruose?»; 3. e poi: «Ehi tu, ragazzino», aggiunse, «fallo subito a pezzi e getta le sue interiora ai nostri cani, mentre il resto della carne mettila da parte tutta per la cena dei lavoratori. Per quanto riguarda la pelle, la rafforzeremo con una passata di cenere e la riporteremo ai padroni: sarà facile fargli credere che lo ha ucciso un lupo». 4. Bandito ogni indugio, quel delinquente del mio accusatore si accingeva parimenti a eseguire egli stesso la sentenza dei pastori, e facendosi allegramente beffe dei miei mali in quanto memore di quel mio calcio, che – Ercole mio! – mi rammarico sia stato inefficace, subito preparava la spada arrotandola sulla cote.

[23-24]

 

Continua a leggere

Lucio va a fuoco – Apuleio, Metamorfosi VII 19-20

[17-18]

[19] 1. Perciò dunque ero afflitto da un male bifronte. Perché una volta che mi ero lanciato in corsa nel tentativo di sfuggire ai dolorosissimi attacchi di legnate, venivo colpito da un più energico slancio delle spine; se, invece, per risparmiarmi il dolore mi ero fermato un pochino, venivo costretto alla corsa dalle botte. 2. Quel ragazzino ignobilissimo, insomma, non sembrava voler escogitare nient’altro che di mandarmi in qualunque modo alla malora, e non mancava talvolta di minacciarmelo con un giuramento. 

3. E ovviamente accadde una cosa che stimolò la sua detestabile malvagità a esperimenti peggiori: un giorno che la mia pazienza era stata sopraffatta dalla sua troppa insolenza, infatti, gli avevo sferrato dei vigorosi calci. Quindi per punirmi si inventa questa scelleratezza. 4. Mi carica con un’abbondante soma di stoppa e me la assicura per bene con delle corde, quindi mi conduce sulla strada e, rubato un carboncello ancora acceso dalla fattoria più vicina, me lo appoggia sul centro esatto del carico. 5. E subito, acceso e nutrito da quel piccolo alimento, un fuoco si levò in fiamme e in un attimo quell’incendio letale mi aveva raggiunto dovunque. Non vedo alcuno scampo alla rovina finale né alcuna speranza di salvezza: una simile pira, non ammettendo indugi, previene anche le idee migliori. [20] 1. Ma in quel sinistro frangente si posò su di me un più lieto sguardo della Fortuna, non so se per serbarmi a pericoli futuri, ma certamente liberandomi da una morte imminente e decretata. 2. Per caso, infatti, scorto vicinissimo a me un ricettacolo di acqua fangosa (appena il giorno prima aveva piovuto), con un salto avventato mi ci getto tutto intero e, spenta completamente la fiamma, ne vengo fuori finalmente alleggerito del peso e salvato dall’estinzione. 3. Ma quel ragazzino pessimo e sconsiderato ritorse contro di me anche questa sua ignobilissima azione e a tutti i custodi del gregge dichiarò che ero stato io stesso, passando di mia sponte accanto ai bracieri dei vicini e scivolatovi addosso a causa della mia andatura vacillante, a procurarmi un incendio volontario, e ridendoci sopra aggiunse: «Fino a quando dunque butteremo cibo in questo asincendio?». 

4. E non intercorsero molti giorni che mi attaccò con insidie di gran lunga peggiori. Infatti, venduta a una casetta del vicinato la legna che portavo, mentre mi conduce ormai privo di carico, comincia a urlare proclamandosi inadatto a confrontarsi con la mia depravazione, e facendo mostra di non poter più esercitare quella sciaguratissima soprintendenza su di me, si dispone a lamentazioni di questo tono:

[21-22]

 

Continua a leggere

Lucio e il ragazzino sadico – Apuleio, Metamorfosi VII 17-18

[15-16]

[17] 1. Lacerato anch’io allo stesso modo dai ripetuti assalti dei cavalli, non vedevo l’ora di tornare a quei vecchi giri alla mola. Ma la Fortuna, mai sazia di torturarmi, mi approntò daccapo un’altra piaga. 2. Vengo scelto, infatti, per trasportare legna giù dal monte, e mi viene assegnato come supervisore un ragazzino, tra tutti il peggiore in assoluto, quel maledetto! 3. Non solo mi sfiancava l’erta scoscesa di quel monte altissimo; non solo mi tritavo gli zoccoli sbattendo contro gli spuntoni rocciosi; ma in più venivo spaccato in due da fitte randellate, a tal punto che il dolore delle botte mi si era radicato fin nelle midolla. 4. E dandomi sempre colpi sulla coscia destra, col battere su un solo punto mi aveva sbucciato la pelle e aveva aperto una ferita larghissima, quasi un buco, anzi una fossa, o meglio ancora una finestra, e tuttavia non smetteva affatto di percuotere ripetutamente la ferita ormai impiastricciata di sangue. Addirittura mi appesantiva con un carico di legna tanto grande che avresti pensato che quella mole di fascine era stata preparata per un elefante, non per un asino. 5. Quella peste, per di più, tutte le volte che la soma si era inclinata per il troppo peso da uno dei due lati, invece di fare ciò che avrebbe dovuto, cioè togliere qualche fascina dal gravame che rovinava, e alleggerita un poco la pressione, rimettermi in sesto, o per lo meno, trasferendo un po’ di quel peso sull’altro lato, riequilibrarmi, al contrario mi aggiungeva sopra delle pietre e così rimediava alla disparità di peso. [18] 1. E tuttavia non contento – neppure dopo tante mie sciagure – del peso smisurato della soma, quando dovevamo oltrepassare un fiume che per caso scorreva lungo la via, per evitare ai suoi stivali di bagnarsi d’acqua, anche lui, saltandomi sopra, si piazzava sulle mie reni, un sovrappeso esiguo, si capisce, ma comunque un sovrappeso rispetto a un carico già tanto grande. 2. E se per qualche caso, vista tutta la melma fangosa che sdrucciolava dal ciglio della riva, travolto dal peso scivolavo e cadevo, invece di fare ciò che avrebbe dovuto, cioè porgermi una mano, sostenermi per il capestro, rialzarmi per la coda, o per lo meno togliere una parte di un carico tanto pesante, almeno finché mi rimettessi in piedi, 3. quell’egregio palafreniere non ci pensava neppure a darmi un qualche aiuto, affaticato com’ero, ma cominciando dalla testa, anzi in realtà dalla punta delle orecchie, mi bastonava tutto quanto con un randello grossissimo, finché mi risvegliavano a mo’ di fomenti le botte stesse. 4. Sempre lui escogitò per me anche quest’altro flagello. Con un nodo ritorto legò in un fascio delle spine acuminatissime e con la punta altamente virulenta, e attaccò questa tortura pendula alla mia coda, di modo che, smosse e spronate dal mio incedere, mi ferissero letalmente con i loro aculei fatali.  

[19-20]

 

Continua a leggere

Un asino tra i cavalli – Apuleio, Metamorfosi VII 15-16

[15] 1. Perciò dunque viene subito chiamato il mandriano custode dei cavalli, al quale dopo un ampio preambolo vengo assegnato perché mi conduca a destinazione. E tutto felice e contento già gli correvo davanti, intenzionato da subito a dire addio a some e altri fardelli, e convinto che, ora che avevo ottenuto la libertà e con l’inizio della primavera i prati verdeggiavano, avrei trovato senz’altro qualche rosa. 2. A questo, però, subentrava in me anche quest’altro pensiero, conseguente al primo: se così tante manifestazioni di riconoscenza e onori così numerosi mi erano stati tributati da asino, una volta recuperato l’aspetto umano sarei stato onorato con tanto più numerose gratificazioni! 3. Ma quando quel mandriano mi ebbe condotto lontano dalla città, non mi attendeva nessuna felicità né tanto meno alcuna libertà. Subito, infatti, sua moglie, quella donna – credetemi – avida e ignobilissima, mi attaccò al giogo di una mola meccanica e mortificandomi di continuo con un bastone pieno di foglie si procurava il pane per sé e i suoi a spese della mia pelle. 4. E non contenta di sfiancarmi soltanto per il suo cibo, macinava anche il grano dei vicini arruolando i miei andirivieni, e io, disgraziato che ero, per tutte queste fatiche non ricevevo nemmeno le razioni pattuite. 5. Il mio orzo, infatti, una volta tostato e frantumato sotto la solita mola grazie ai miei stessi girotondi, quella tentava in tutti i modi di venderlo ai contadini del vicinato; a me, invece, dopo che tutto il giorno mi ero applicato alla faticosa macchina, soltanto verso sera metteva davanti un po’ di crusca grezza, lurida e tutta scabra di sassi. [16] 1. Nonostante fossi stato ormai completamente soggiogato da tali patimenti, la Fortuna, malvagia com’è, mi consegnò a nuove torture, evidentemente affinché mi gloriassi di una piena ricompensa, in virtù, come si dice, delle mie forti gesta in patria e fuori. Quell’egregio pastore, infatti, obbedendo, seppur tardi, all’ordine del suo padrone, mi condusse una buona volta a far parte degli armenti equini. 2. E io, finalmente un asino libero, trotterellando tutto lieto ed esultante con passo voluttuoso, mi sceglievo le cavalle più adatte a farmi di lì a poco da concubine. Ma anche questa prospettiva più allegra andò a finire in una rovina capitale. 3. Gli stalloni, infatti, che per la monta erano stati foraggiati in abbondanza e tenuti a lungo all’ingrasso, terribili in ogni caso e comunque più forti di qualsivoglia asino, temendo la mia competizione, prendono precauzioni contro un adulterio innaturale, per cui, non rispettando le leggi di Giove ospitale, tutti imbizzarriti perseguitano il rivale con odio estremo. 4. Uno, sollevato in alto il petto immane, con il capo eretto e il muso puntato al cielo, si mette a fare il pugile contro di me con gli zoccoli anteriori; un altro, girando verso di me le terga cariche di protuberanze polpose, mi assale con raffiche di calci posteriori; un altro ancora, minacciandomi con un nitrito maligno, piegate indietro le orecchie e sguainate le scuri dei denti splendenti, si dà a morsicarmi dovunque. 5. Una cosa simile avevo letto in una storia su un re di Tracia, che gettava i poveri ospiti ai suoi cavalli bestiali perché li facessero a pezzi e li divorassero; tanto era parco di orzo, quel tiranno dispotico, che placava la fame dei suoi voraci giumenti con generose elargizioni di corpi umani. 

[17-18]

 

Continua a leggere

La Villa di Livia ad gallinas albas – Plinio il Vecchio

Sull’alloro ci sono fatti degni di menzione connessi anche con il Divo Augusto. Accadde, infatti, a Livia Drusilla (che in seguito assunse con il matrimonio il nome di Augusta, ma all’epoca era solo promessa sposa di Cesare) che un giorno in cui se ne stava seduta, un’aquila dall’alto le fece cadere in grembo, illesa, una gallina di notevole bianchezza, e mentre lei ancora era tra l’imperterrito e il meravigliato, l’evento si rivelò un prodigio, perché la gallina teneva nel becco un ramo di alloro carico di bacche: gli aruspici ordinarono di conservare il volatile e la sua prole e di piantare quel ramo e custodirlo secondo le pratiche religiose del caso; ciò avvenne nella villa dei Cesari addossata al fiume Tevere, presso il nono miglio della via Flaminia, villa che per questo è chiamata «Alle galline», dove tra l’altro, in modo non meno prodigioso, è cresciuto un boschetto. Da quel boschetto proveniva l’alloro di cui in seguito durante il suo trionfo Cesare tenne in mano un ramo e portò sul capo una corona, e da quel momento durante i loro trionfi tutti i Cesari seguirono il suo esempio. È stata, inoltre, tramandata l’usanza di piantare i rami che di volta in volta ogni Cesare tenne in mano, e tuttora esistono dei boschetti distinti con i nomi dei vari Cesari (questo è probabilmente il motivo per cui nei trionfi non si usano più gli allori che una volta erano detti appunto “trionfali”).

 

Continua a leggere

In riva al lago di Como – Plinio il Giovane

Caro Caninio,

1 ti stai dando agli studi, alla pesca o alla caccia? O a tutte queste cose insieme? In riva al nostro Lario, in effetti, si possono fare tutte queste cose insieme: il lago, infatti, pullula di pesci, i boschi dai quali il lago è circondato offrono selvaggina in abbondanza, e questo ritiro solitario concilia profondamente gli studi. 2 Ma in ogni caso, sia che tu stia facendo tutte queste cose insieme, sia solo qualcuna di queste, non posso dire «Ti invidio»; mi tormenta però il fatto che non siano concesse anche a me le cose che desidero tanto, quanto i malati desiderano una coppa di vino o un bagno alle terme o in una sorgente. Questi strettissimi lacci mi soffocano e credo che non riuscirò mai, non dico a scioglierli, ma nemmeno a spezzarli! 3 Sui vecchi impegni se ne innestano di nuovi, e questo però non vuol dire che i precedenti siano stati sbrigati: tanti sono i vincoli, anzi le catene, con cui la massa delle occupazioni mi stringe di giorno in giorno sempre più! Stammi bene!

 

Continua a leggere

Cara Calpurnia – Plinio il Giovane

GAIO PLINIO SALUTA LA SUA CALPURNIA

1 È incredibile quanto mi manchi. Prima di tutto perché ti amo, poi perché non eravamo abituati a stare lontani. Ecco perché passo gran parte della notte sveglio con la tua immagine in mente; ecco perché di giorno, nelle ore in cui ero solito farti visita, le gambe (e non è solo un modo di dire!) mi portano da sole nei tuoi appartamenti; ecco perché ogni volta, trovando la stanza vuota, finisco per tornare indietro sofferente e addolorato come un amante scacciato. C’è un solo momento in cui non soffro questi supplizi: quando sono nel foro e mi logoro nei processi per gli amici.
2 Vedi tu che vita è mai questa, per cui la fatica è un sollievo, e gli impegni gravosi sono una consolazione! Stammi bene!

Continua a leggere

Tiferno sul Tevere – Plinio il Giovane

GAIO PLINIO SALUTA FABATO, SUO PROSUOCERO

1 So che non vedi l’ora di rivedere dopo così tanto tempo tua nipote e me con lei. Ti siamo entrambi grati per il tuo desiderio, che d’altronde è reciproco, per Ercole! 2 Anche noi, infatti, da parte nostra, abbiamo una voglia a dir poco incredibile di rivedervi, e non la rimanderemo più oltre. Stiamo già preparando appunto quei pochi bagagli, e ci muoveremo con tanta fretta quanta ce ne permetterà la condizione della strada. 3 Ci sarà una sola sosta, ma breve: faremo una deviazione in Toscana, non tanto per controllare lo stato dei campi e dei possedimenti di famiglia (quello si può benissimo posporre), ma per ottemperare a un impegno inevitabile.
4 C’è una cittadina nei pressi dei nostri poderi (si chiama Tiferno sul Tevere), che, quando ancora non ero che un ragazzo, mi scelse come patrono, con affetto tanto vivo quanto poco assennato. Ogni volta che io arrivo, festeggiano; ogni volta che parto, si addolorano; ogni volta che ricevo degli onori, si rallegrano. 5 Da parte mia, per ricompensare la loro gratitudine (visto che è vergognoso farsi vincere in cortesia), gli ho fatto costruire a mie spese un tempio, la cui dedicazione, ormai che è pronto, sarebbe blasfemo rimandare più a lungo. 6 Dunque saremo lì il giorno della dedicazione, che ho disposto sia festeggiato con un banchetto. Ci fermeremo forse anche il giorno seguente; ma a questo punto riprenderemo la strada con tanto maggiore impazienza.
7 Ci sia concesso di trovare te e tua figlia sani e forti! Perché di sicuro vi troveremo felici, se avrete accolto noi sani e salvi. Stammi bene!

 

Continua a leggere