Un asino tra i cavalli – Apuleio, Metamorfosi VII 15-16

[15] 1. Perciò dunque viene subito chiamato il mandriano custode dei cavalli, al quale dopo un ampio preambolo vengo assegnato perché mi conduca a destinazione. E tutto felice e contento già gli correvo davanti, intenzionato da subito a dire addio a some e altri fardelli, e convinto che, ora che avevo ottenuto la libertà e con l’inizio della primavera i prati verdeggiavano, avrei trovato senz’altro qualche rosa. 2. A questo, però, subentrava in me anche quest’altro pensiero, conseguente al primo: se così tante manifestazioni di riconoscenza e onori così numerosi mi erano stati tributati da asino, una volta recuperato l’aspetto umano sarei stato onorato con tanto più numerose gratificazioni! 3. Ma quando quel mandriano mi ebbe condotto lontano dalla città, non mi attendeva nessuna felicità né tanto meno alcuna libertà. Subito, infatti, sua moglie, quella donna – credetemi – avida e ignobilissima, mi attaccò al giogo di una mola meccanica e mortificandomi di continuo con un bastone pieno di foglie si procurava il pane per sé e i suoi a spese della mia pelle. 4. E non contenta di sfiancarmi soltanto per il suo cibo, macinava anche il grano dei vicini arruolando i miei andirivieni, e io, disgraziato che ero, per tutte queste fatiche non ricevevo nemmeno le razioni pattuite. 5. Il mio orzo, infatti, una volta tostato e frantumato sotto la solita mola grazie ai miei stessi girotondi, quella tentava in tutti i modi di venderlo ai contadini del vicinato; a me, invece, dopo che tutto il giorno mi ero applicato alla faticosa macchina, soltanto verso sera metteva davanti un po’ di crusca grezza, lurida e tutta scabra di sassi. [16] 1. Nonostante fossi stato ormai completamente soggiogato da tali patimenti, la Fortuna, malvagia com’è, mi consegnò a nuove torture, evidentemente affinché mi gloriassi di una piena ricompensa, in virtù, come si dice, delle mie forti gesta in patria e fuori. Quell’egregio pastore, infatti, obbedendo, seppur tardi, all’ordine del suo padrone, mi condusse una buona volta a far parte degli armenti equini. 2. E io, finalmente un asino libero, trotterellando tutto lieto ed esultante con passo voluttuoso, mi sceglievo le cavalle più adatte a farmi di lì a poco da concubine. Ma anche questa prospettiva più allegra andò a finire in una rovina capitale. 3. Gli stalloni, infatti, che per la monta erano stati foraggiati in abbondanza e tenuti a lungo all’ingrasso, terribili in ogni caso e comunque più forti di qualsivoglia asino, temendo la mia competizione, prendono precauzioni contro un adulterio innaturale, per cui, non rispettando le leggi di Giove ospitale, tutti imbizzarriti perseguitano il rivale con odio estremo. 4. Uno, sollevato in alto il petto immane, con il capo eretto e il muso puntato al cielo, si mette a fare il pugile contro di me con gli zoccoli anteriori; un altro, girando verso di me le terga cariche di protuberanze polpose, mi assale con raffiche di calci posteriori; un altro ancora, minacciandomi con un nitrito maligno, piegate indietro le orecchie e sguainate le scuri dei denti splendenti, si dà a morsicarmi dovunque. 5. Una cosa simile avevo letto in una storia su un re di Tracia, che gettava i poveri ospiti ai suoi cavalli bestiali perché li facessero a pezzi e li divorassero; tanto era parco di orzo, quel tiranno dispotico, che placava la fame dei suoi voraci giumenti con generose elargizioni di corpi umani. 

[17-18]

 

[15] 1. Ergo igitur euocato statim armentario equisone magna cum praefatione deducendus adsignor. et sane gaudens laetusque praecurrebam sarcinis et ceteris oneribus iam nunc renuntiaturus nanctaque libertate ueris initio pratis herbantibus rosas utique reperturus aliquas. 2. subibat me tamen illa etiam sequens cogitatio, quod tantis actis gratiis honoribusque plurimis asino meo tributis humana facie recepta multo tanta pluribus beneficiis honestarer. 3. sed ubi me procul a ciuitate gregarius ille perduxerat, nullae deliciae ac ne ulla quidem libertas excipit. nam protinus uxor eius, auara equidem nequissimaque illa mulier, molae machinariae subiugum me dedit frondosoque baculo subinde castigans panem sibi suisque de meo parabat corio. 4. nec tantum sui cibi gratia me fatigare contenta, uicinorum etiam frumenta mercennariis discursibus meis conterebat, nec mihi misero statuta saltem cibaria pro tantis praestabantur laboribus. 5. namque hordeum meum frictum et sub eadem mola meis quassatum ambagibus colonis proximis uenditabat, mihi uero per diem laboriosae machinae adtento sub ipsa uespera furfures apponebat incretos ac sordidos multoque lapide salebrosos. [16] 1. Talibus aerumnis edomitum nouis Fortuna saeua tradidit cruciatibus, scilicet ut, quod aiunt, domi forisque fortibus factis adoriae plenae gloriarer. equinis armentis namque me congregem pastor egregius mandati dominici serus auscultator aliquando permisit. 2 at ego tandem liber asinus laetus et tripudians graduque molli gestiens equas opportunissimas iam mihi concubinas futuras deligebam. sed haec etiam spes hilarior in capitale processit exitium. 3. mares enim ob admissuram pasti satianter ac diu saginati, terribiles alioquin et utique quouis asino fortiores, de me metuentes sibi et adulterio degeneri praecauentes nec hospitalis Iouis seruato foedere riualem summo furentes persecuntur odio. 4. hic elatis in altum uastis pectoribus arduus capite et sublimis uertice primoribus in me pugillatur ungulis, ille terga pulposis torulis obesa conuertens postremis uelitatur calcibus, alius hinnitu maligno comminatus remulsis auribus dentiumque candentium renudatis asceis totum me commorsicat. 5. sic apud historiam de rege Thracio legeram, qui miseros hospites ferinis equis suis lacerandos deuorandosque porrigebat; adeo ille praepotens tyrannus sic parcus hordei fuit, ut edacium iumentorum famem corporum humanorum largitione sedaret.

[Apuleio, Metamorfosi VII 15-16]

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